venerdì 11 luglio 2008

IL PRIVILEGIO CHE FA DEL LEADER UN SOVRANO


Mancava, Silvio Berlusconi, nell'aula di Montecitorio radunata ai suoi ordini, ieri, per votargli l'immunità disegnata su misura per la sua persona, consentendogli di evitare in extremis la sentenza nel processo per corruzione in atti giudiziari in corso a Milano, dove il Cavaliere è accusato di aver spinto l'avvocato londinese Mills a dichiarare il falso sui fondi neri Fininvest all'estero. Penso che l'imbarazzo politico, morale ed istituzionale lo abbia tenuto fuori dalla Camera dove, a due mesi dalla nascita del suo governo, l'abuso della forza ha ieri raggiunto il culmine, rivelando una debolezza che peserà come un destino sul resto della legislatura. Nel Paese che continua a proclamare la legge uguale per tutti, dopo il voto di ieri e in attesa urgente di quello del Senato il Cavaliere si avvia a rafforzare la sua posizione di "più uguale" dei suoi concittadini, sottraendo l'imputato Berlusconi al suo legittimo giudice che lo sta processando per reati comuni, per nulla legati all'attività politica. Per fare questo, l'imputato Berlusconi ha dovuto chiedere soccorso al premier Berlusconi, che non ha esitato a usare fino in fondo il potere esecutivo per imporre al legislativo una norma capace di bloccare il giudiziario. Anzi, di più. Finché non è stato sicuro dell'approvazione del "lodo", preparato ad-hoc dal ministro della Giustizia Alfano, in collaborazione con l'equipe di avvocati personali del presidente-imputato, il premier ha mandato avanti come norma d'urgenza un emendamento che fermava 100 mila procedimenti giudiziari pur di arrestare il suo. Ieri, avuta la sicurezza che l'immunità diventerà subito legge, Berlusconi ha acconsentito a disfare la norma blocca-processi, dimostrando così platealmente (anche se non sarebbe servita la dimostrazione a capirlo) che la norma non aveva alcuna urgenza reale ma era solo strumentale alla sua difesa.
Qui sta l'imbarazzo della democrazia italiana, in questa continua contaminazione di interessi privati e della legislazione pubblica, che forma quello che è definito abuso di ufficio (altro reato perseguibile), deforma l'imparzialità della giurisdizione, trasforma la separazione dei poteri. Le tre funzioni nello Stato moderno sono affidate a organi distinti in posizione di reciproca indipendenza e autonomia proprio per garantire che anche l'esercizio delle attività sovrane è sottoposto al diritto. E' stato più volte visto ciò che succede se il medesimo uomo fa le leggi, ne esegue i comandi e giudica le infrazioni. Ma che accade quando il medesimo uomo fa le leggi, ne esegue i comandi e fa in modo che nessuno possa giudicare le sue infrazioni? Questo anzi è il caso in cui la garanzia si trasforma in privilegio, e l'immunità studiata dalla Costituzione in considerazione della funzione pubblica e della sua tutela - nell'interesse non del singolo, ma della collettività -, si riduce a impunità costruita nell'interesse esclusivo non di una carica ma di una persona, che con un vantaggio improprio viene sottratta ad oneri e responsabilità che valgono per tutti gli altri cittadini. Non si tratta solo di un'aula che sta diventando il collegio difensivo del premier, che la usa a sua volontà stravolgendo ogni tipo di programma dei lavori.
Infatti, sul piano culturale, c'è qualcosa di più. Una forzatura nella costituzione materiale del Paese, nella struttura politica del sistema, per cui da questo eccesso d'autorità scaturirà una nuova concezione dello Stato, con la supremazia del Leader che ha vinto le elezioni e per questo è intoccabile perché è un tutt'uno con la volontà dei cittadini, in un'unione sacra al punto che nessuna legge, nessun diritto, nessun potere può intervenire a sindacarla. Attraverso questa concezione, il leader legittimo del Paese diventa sovrano di fatto, perché si appropria di una sovranità che per Costituzione appartiene al popolo: non "emana" dal popolo verso qualche potere come oggi si vuole far credere e come pretende la teoria del moderno populismo, ma nel popolo risiede perché è il popolo che la esercita, "come contrassegno ineliminabile - si disse nella discussione in Costituente - del regime democratico".
Martedì sono scesi in piazza migliaia di cittadini, che pensavano di protestare contro il governo Berlusconi e per la legalità, come sarebbe stato consono ad una manifestazione organizzata da una parte dell'opposizione.Quella piazza, fatta di cittadini sconosciuti che hanno voluto riconnettersi al discorso pubblico in un momento delicato è appunto un principio di reazione al caimano. Ma alla domanda tutta politica che veniva dai cittadini in piazza (e dai molti altri che non hanno partecipato per molte ragioni, ma anche perché non si riconoscevano nelle forme, nei modi e nel programma dell'organizzazione) è stata servita una risposta di segno opposto, tutta antipolitica. Con un crescendo da "Corrida" che mescolava denunce planetarie e barzellette sul Cavaliere, accuse a Napolitano (come se fossero le istituzioni di garanzia il vero problema del Paese), e al Pd come principale nemico, secondo la tradizione consolidata della peggior sinistra, per cui il vero avversario è il tuo compagno. Attraverso questo meccanismo che ha sostituito gli "idoli" dello spettacolo ai leader, trasformando il loro linguaggio in discorso politico e riducendo i cittadini a spettatori che applaudono, si è rotta la cornice istituzionalmente drammatica in cui si sta compiendo la prova di forza di Berlusconi. Si possono recuperare le ragioni che hanno portato quei cittadini in piazza, provando a dar loro un indirizzo politico, un percorso democratico, uno sbocco possibile?
Molti "girotondi" hanno capito i limiti dell'antipolitica, che probabilmente ha consumato qui la sua stagione. Il Pd dovrebbe aver compreso che anche il vuoto della politica genera mostri come Grillo, e bisogna costruire un orizzonte riformista che sappia mobilitare e rispondere, dando radicalità ai valori e ai diritti, soprattutto quando sono sotto attacco. La sinistra sparsa, il centro cattolico, i moderati che non accettano il passaggio di sovranità hanno a disposizione un'idea semplice e necessaria: la democrazia come idea comune, nell'Italia sfortunata del 2008.

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